Sperimentazioni cliniche, il Gruppo Persone non solo pazienti:
urgente attuare il Regolamento europeo e recepire il principio
del coinvolgimento delle Associazioni in tutte le fasi dei trial
Accelerare l’attuazione del Regolamento europeo sulla sperimentazione clinica e prevedere,
nei prossimi Decreti attuativi, norme che valorizzino il coinvolgimento delle Associazioni pazienti nella ricerca clinica, fin dalla fase di progettazione degli studi, come quelle già indicate
nella Legge n. 11 del gennaio 2018 e finora non recepite.
È la richiesta rilanciata dal Gruppo Persone non solo Pazienti, una coalition tra 16 Associazioni pazienti, sostenuta da Fondazione Roche, nel corso di un evento scientifico-istituzionale ospitato a Roma, al Centro Studi Americani e dedicato al nuovo scenario della ricerca clinica, in rapida evoluzione a seguito delle nuove norme europee, dell’emergenza Covid e delle risorse del PNRR.
La partecipazione delle Associazioni pazienti alle sperimentazioni,
al centro della Carta etico-deontologica messa a punto dal Gruppo insieme al CNR,
è parte integrante dei processi di velocizzazione e semplificazione dei trial clinici,
in quanto permette di assicurare maggiore appropriatezza e aderenza alle terapie, superare iniquità nell’accesso alla ricerca, garantire maggiore attenzione ai bisogni sanitari
e alle esigenze dei pazienti, ridurre i costi organizzativi.
Roma, 14 luglio 2022 – Il nuovo Regolamento europeo che cambia le regole sulla sperimentazione dei farmaci. L’emergenza Covid, che ha accelerato processi e procedure e ha sottolineato l’urgenza di fare arrivare i farmaci ai pazienti nel minor tempo possibile. Il PNRR, che mette a disposizione importanti risorse anche per la ricerca. È un momento decisivo in Italia per la ricerca clinica, eccellenza del patrimonio scientifico, ma anche volano del sistema economico, in grado di generare potenzialmente da 1,95 a 2,50 euro per ogni euro investito.
Una risorsa da valorizzare adeguando al più presto le regole alla cornice normativa europea, per semplificare le procedure e non perdere importanti investimenti, ma anche attraverso il coinvolgimento dei pazienti, fattore decisivo per una ricerca clinica più forte e trasparente, recependo finalmente il principio della partecipazione dei pazienti in tutte le fasi della ricerca clinica, indicato nel Regolamento europeo e nella Legge attuativa italiana (Legge Lorenzin) ma rimasto finora inattuato nei Decreti applicativi.
Sono le richieste che il Gruppo “Persone non solo pazienti” – una coalition tra 16 Associazioni pazienti rappresentative di diverse aree patologiche, sostenuta da Fondazione Roche – ha rilanciato nel corso dell’evento “La normativa sulla sperimentazione clinica: ostacoli, opportunità e il ruolo delle Associazioni pazienti”, ospitato a Roma, al Centro Studi Americani. Il Gruppo, impegnato sul tema della ricerca clinica, negli anni scorsi, in collaborazione con un gruppo di ricercatori di bioetica e biodiritto del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha realizzato la prima Carta etico-deontologica in Europa per la partecipazione delle Associazioni pazienti ai trial clinici, anticipando alcuni temi di grande attualità: accesso ai trial, trasparenza, coinvolgimento dei pazienti.
«L’incontro odierno è l’ulteriore dimostrazione che il Gruppo “Persone non solo pazienti” sta lavorando nella direzione giusta. Da tempo, infatti, le Istituzioni e gli sperimentatori hanno riconosciuto l’importanza di ottimizzare e rendere più fluidi i protocolli di sperimentazione dei farmaci sull’uomo – afferma Mariapia Garavaglia, Presidente Fondazione Roche – portare il punto di vista di chi affronta in prima persona la malattia nel cuore della sperimentazione fa si che le terapie possano essere costruite sempre più a misura del paziente, accelerando il percorso della ricerca clinica, con la possibilità di far arrivare prima i farmaci alla disponibilità dei malati e contribuire a ridurre i costi organizzativi, con vantaggi per la ricerca, la salute dei pazienti e la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale».
La possibilità di accelerare il percorso dei farmaci, senza saltare alcuna fase della sperimentazione, è stata messa in evidenza dall’emergenza Covid: «La pandemia è stata un grande acceleratore di ricerca con un forte coordinamento nazionale ed europeo, ma soprattutto una condivisone rapida dei dati, con un sistema di pubblicazione dei risultati a livello internazionale – dichiara Giuseppe Ippolito, Direttore Generale della Ricerca e dell’Innovazione in Sanità, Ministero della Salute – è necessario consentire un rapido accesso all’innovazione terapeutica e il paziente diventa sempre più centrale nella conduzione delle sperimentazioni, con un ruolo che non è limitato a dare il proprio consenso alla sperimentazione, ma che comprende anche il monitoraggio di tutte le diverse fasi, dando ai pazienti la certezza che si tratta di reale innovazione attraverso percorsi codificati di cui le Agenzie regolatorie sono garanti».
Secondo i dati disponibili più recenti, in Italia nel 2019 sono state approvate 672 nuove sperimentazioni cliniche, pari al 23% di quelle approvate nell’Unione Europea. Una quota importante che rischia però di contrarsi se non si supereranno i ritardi nell’attuazione del Regolamento europeo sulle sperimentazioni cliniche, emanato nel 2014, con l’obiettivo di rendere l’ Europa un ambiente attrattivo per lo svolgimento delle sperimentazioni e che ha avuto un passaggio decisivo con l’entrata in vigore lo scorso 31 gennaio del Clinical Trials Information System, punto di accesso unico per la presentazione e l’autorizzazione delle domande di sperimentazione clinica nell’Unione Europea e nei Paesi dello Spazio economico europeo. L’Italia è tra i Paesi tuttora in ritardo nell’attuazione, affidata alla “Legge Lorenzin” (Legge 11 gennaio 2018, n.3) poi convertita nel Dlgs 52/2019 che prevede una serie di misure attuative, in gran parte non ancora emanate, a cominciare da quella relativa alla riorganizzazione dei Comitati Etici.
«La competizione sulle sperimentazioni cliniche oggi non è tra aziende ma tra Paesi. È quindi nell’interesse di tutti vincere questa competizione perché i Paesi più competitivi attraggono un maggior numero di studi clinici con i relativi investimenti – spiega Maurizio de Cicco, Componente Comitato di Presidenza Farmindustria – da gennaio ad aprile 2022, secondo un Report pubblicato da EMA, sono state presentate 56 domande di sperimentazioni cliniche sulla base delle nuove procedure del Regolamento europeo. Di queste, solo 12 in Italia, perché gli sponsor tendono a concentrare gli studi nei Paesi che sono già in regola con le nuove norme. È indispensabile completare l’attuazione del nuovo Regolamento europeo in modo tale da far esprimere al meglio anche le eccellenze cliniche che a livello internazionale vengono riconosciute all’Italia e avere la possibilità di competere con gli altri Paesi. Sono grandi opportunità per il Paese e la ricerca che non bisogna perdere».
Parte integrante della ricerca clinica è la ricerca accademica indipendente che nel tempo ha generato importantissimi risultati utili alla pratica clinica. «I futuri successi della ricerca indipendente passeranno probabilmente dall’applicazione di alcuni concetti che il Regolamento Europeo e recenti interventi legislativi italiani propongono, primi tra tutti l’opportunità di uniformare il più possibile i propri standard a quelli della ricerca a scopo registrativo, e l’implementazione di modelli di partnership trasparente ed efficiente tra pubblico e privato nella promozione e gestione delle ricerche cliniche (co-sponsorship) – illustra Dario Manfellotto, Presidente FADOI – Federazione delle Associazioni Dirigenti Ospedalieri Internisti – la recente approvazione delle norme che permettono di utilizzare per fini registrativi i risultati delle ricerche no-profit o non sponsorizzate, garantendo la copertura dei costi sostenuti dal Servizio Sanitario e un riconoscimento per il valore generato dal promotore indipendente, può rappresentare un volano per la ricerca clinica nel nostro Paese».
Ma nell’attuazione del Regolamento europeo a mancare all’appello, finora, è proprio il principio espressamente indicato nella Legge Lorenzin relativo al coinvolgimento delle Associazioni pazienti in tutte le fasi della sperimentazione, che permette di definire gli obiettivi delle sperimentazioni in modo più rispondente alle reali esigenze dei pazienti in termini di efficacia, sicurezza, funzionalità e sopravvivenza: «La centralità dei pazienti e delle loro Associazioni nel sistema della ricerca clinica è ormai un dato assodato, come dimostra anche l’impostazione della recente iniziativa lanciata dalla Commissione Europea insieme alle Agenzie Regolatorie Nazionali e a EMA in contemporanea all’applicazione del Regolamento europeo, Accelerate Clinical Trials in the EU (ACT EU) – afferma Sandra Petraglia Dirigente Area Pre-Autorizzazione, Agenzia Italiana del Farmaco – una delle azioni prioritarie di ACT EU è infatti dedicata alla creazione di una piattaforma multistakeholder che vede al centro i pazienti e le Associazioni pazienti, con un loro coinvolgimento diretto per disegnare in maniera proattiva uno sviluppo dei farmaci che sia effettivamente orientato alle esigenze dei pazienti. È quindi da auspicare che il ruolo delle Associazioni pazienti trovi una sua collocazione più definita e formale mediante futuri aggiornamenti normativi, in linea non solo con quanto già avviene a livello dell’EMA, ma anche con quanto fatto per il Centro di Coordinamento dei Comitati Etici, nel quale ormai già da quattro anni le Associazioni pazienti, che sono presenti a pieno titolo e con parità di ruolo, portano avanti con competenza e autorevolezza le istanze e il punto di vista fondamentale dei pazienti».
Nei prossimi mesi, quindi, l’impegno del Gruppo “Persone non solo pazienti”, sarà tutto concentrato sull’obiettivo di accelerare l’emanazione dei Decreti attuativi, assicurando che venga salvaguardato il principio del coinvolgimento delle Associazioni pazienti, e che al tempo stesso vengano definiti requisiti omogenei e condivisi mutuamente riconosciuti nei Paesi UE per l’accreditamento delle Associazioni come soggetti attivi nei trial clinici, garantendo loro l’accesso a tutte le informazioni sulle sperimentazioni cliniche europee nell’ambito del Clinical Trials System.
Il punto di vista del Gruppo “Persone non solo pazienti”
Maria Gabriella Romano, ACTO – Alleanza Contro il Tumore Ovarico
«La nostra, è stata la prima Associazione pazienti a realizzare una ricerca osservazionale indipendente, sul vissuto delle pazienti, rispetto ai trial clinici. Dai risultati emersi si è compreso innanzitutto che è necessario creare una cultura della ricerca clinica indipendente al fine di rendere le pazienti più consapevoli e autonome nella scelta di partecipare ad un trial clinico. Inoltre, in generale le Associazioni vanno coinvolte maggiormente nello sviluppo dei trial e nella definizione degli obiettivi di ricerca mettendo al primo posto i bisogni delle pazienti stesse».
Mario Alberto Battaglia, AISM – Associazione Italiana Sclerosi Multipla
«I pazienti, attraverso le loro Associazioni di rappresentanza, devono, con specifica competenza, partecipare, con un ruolo proattivo e riconosciuto da tutti gli altri stakeholder, a tutte le fasi dei trial, dalla messa a punto della metodologia, fino alla misura dell’impatto e pubblicazione dei risultati, con attenzione all’informazione comprensibile e accessibile. È un impegno che AISM ha preso pubblicamente nell’“Agenda della SM e Patologie Correlate 2025” per continuare ad essere un partner di riferimento nella ricerca scientifica e nei trial clinici e per una ricaduta concreta sulla vita delle persone con sclerosi multipla e delle loro famiglie».
Carla Bondavalli, AMA – Fuori dal buio
«Le Associazioni pazienti sono un interlocutore fondamentale nel processo che porta alla realizzazione di uno studio clinico. L’Associazione può essere un ‘hub’ che aggrega i pazienti e rimane in contatto con i rispettivi medici, portando all’attenzione dei propri associati tutte le novità e le opportunità che scaturiscono dalla ricerca e informandoli, rendendo quindi più semplice l’accesso alle sperimentazioni cliniche. Il coinvolgimento delle Associazioni nei trial è essenziale se si vogliono studi clinici accessibili e trasparenti, i rappresentanti dei pazienti sono un punto di riferimento essenziale. Ai tavoli decisionali le Associazioni portano le esperienze dei pazienti riguardo alla loro malattia e alla vita reale. In questo modo i pazienti vengono aggiornati sui risultati degli studi che per tale ragione diventano più accessibili e trasparenti, in quanto i dati condivisi saranno utili per le decisioni che le autorità regolatorie devono prendere in materia di autorizzazione e rimborso, per razionalizzare al meglio le risorse da investire in ricerca e per evidenziare indicatori utili ai fini di una efficace programmazione sanitaria».
Salvo Leone, AMICI – Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie dell’Intestino
«In questa fase di ridefinizione delle regole della sperimentazione clinica le Associazioni possono fornire un contributo importante per raccogliere e diffondere i dati sulle preferenze di esito dei pazienti, per raccogliere e diffondere i dati sulle preferenze di trattamento, per raccogliere e diffondere dati sulle preferenze di salute per categorie di pazienti e per promuovere e facilitare il trasferimento di informazioni durante le visite mediche. Incrementare la consapevolezza e la responsabilità dei pazienti rappresenta un importante obiettivo che noi tutti dobbiamo perseguire e le Associazioni continueranno a lavorare sulla strada già intrapresa per promuovere percorsi formativi appropriati e incoraggiare così l’inclusione di pazienti esperti e informati nei trial clinici».
Sara Severoni, ANMAR – Associazione Nazionale Malati Reumatici
«Le Associazioni pazienti svolgono un ruolo fondamentale rispetto alla realizzazione e conduzione del trial clinico in quanto hanno la capacità e la competenza di accompagnare il paziente stesso in tutte le fasi dello studio, supportando, sostenendo e tutelando i momenti di criticità e i momenti decisionali, in particolare quelli che sono cruciali per il proseguimento dello studio clinico. Il paziente molto spesso si sente solo, non ha la lucidità e la forza per trovare le motivazioni e le risposte giuste a quello che è il suo percorso e a quelli che sono i bisogni da dover affrontare in quel momento. Dunque, il contributo più importante sta nell’avere delle sperimentazioni cliniche che hanno precisi obiettivi terapeutici e di qualità di vita sostenibile per il paziente attraverso un percorso ‘accompagnato’. Inoltre, il coinvolgimento delle Associazioni fluidifica e potenzia la relazione e il contatto medico/paziente. Tutto questo però deve essere basato sul pieno riconoscimento del ruolo delle Associazioni».
Antonella Celano, APMARR – Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare
«La partecipazione delle Associazioni pazienti ai trial clinici è fondamentale per portare le esperienze, il vissuto e le conoscenze dirette dei pazienti nel cuore della ricerca e dell’innovazione. L’ascolto e la partecipazione attiva delle Associazioni pazienti sono pertanto imprescindibili in tutte le fasi di un trial clinico. Il coinvolgimento dei pazienti nei trial clinici, oltre a essere una scelta di grande valenza etica è anche uno strumento essenziale per rendere più fluido l’iter della sperimentazione clinica, in quanto può favorire una maggiore efficienza nello sviluppo dei farmaci e il loro successivo impiego secondo criteri di appropriatezza».
Loredana Pau, Europa Donna Italia
«Il coinvolgimento delle Associazioni pazienti è fondamentale nella realizzazione degli studi clinici e si basa sulla consapevolezza e sulla conoscenza di tutte le tappe che portano allo sviluppo di un nuovo farmaco. La nostra Associazione è focalizzata sulle donne con diagnosi di tumore al seno metastatico, quindi pazienti che vivono le conseguenze di una malattia molto seria. Le Associazioni pazienti sono portatrici di bisogni ed esigenze che devono essere messi al centro del processo che porta alla ricerca e sviluppo di terapie innovative. Ma per essere coinvolte consapevolmente, devono essere anche informate adeguatamente, devono poter accedere a un database accessibile e fruibile che non sia solo quello di AIOM e le informazioni devono seguire un processo circolare che ne permetta la loro diffusione. Infine, è importante la formazione, affinché siano in grado di relazionarsi con gli altri attori del processo di ricerca, in primo luogo i ricercatori e i medici. Solo così le Associazioni pazienti saranno veramente in grado di portare ai tavoli decisionali le loro richieste ed entrare a far parte in modo stabile dei tavoli decisionali che portano alla realizzazione dei trial e partecipare consapevolmente».
Anita Pallara, Famiglie SMA
«ll contributo che le Associazioni pazienti possono portare è certamente quello di poter collaborare in sinergia con i vari stakeholder nel rendere i processi regolatori rispondenti sempre più alle necessità reali delle persone che convivono con la malattia. Per fare questo serve che le Associazioni siano ascoltate in modo continuativo e tenute in considerazione sin dalle prime fasi della sperimentazione clinica».
Daniele Preti, FEDEMO – Federazione delle Associazioni Emofilici
«L’attuale ridefinizione delle regole sulla sperimentazione clinica rappresenta un’imperdibile occasione per garantire l’accesso dei pazienti al processo che sottende lo sviluppo di uno studio, dal suo disegno iniziale alle varie fasi di indagine e fino all’analisi conclusiva dei risultati. Infatti, il sapere esperienziale dei pazienti, destinatari ultimi dei risultati di uno studio clinico, può certamente contribuire grandemente allo sviluppo di trattamenti e dispositivi che oltre ad assicurare gli obiettivi primari di efficacia e sicurezza tengano in considerazione anche i desideri degli utilizzatori, in termini di qualità di vita e aspettative».
Rosalba Ioren Napoli, FIMARP – Federazione Italiana IPF e Malattie Rare Polmonari
«Il tema della ricerca clinica rappresenta un argomento molto delicato ma anche molto importante per i pazienti, soprattutto se affetti da patologie delle quali non si conoscano ancora bene le cause e per le quali non esiste una cura risolutiva ma soltanto farmaci che rallentano la progressione, come la Fibrosi Polmonare Idiopatica. È necessario dunque considerare alcuni aspetti. Innanzitutto, la partecipazione dei rappresentati delle Associazioni in tutte le fasi della stesura dei trail clinici in modo competente ed indipendente; queste potrebbero essere parte attiva anche attraverso una raccolta fondi per la ricerca. La tutela legale di tutti i pazienti che partecipano ai trail, in special modo per quelli inseriti nel gruppo placebo. Il controllo da parte delle Associazioni di quanto riportato nel consenso informato affinché siano esplicitati chiaramente quali siano gli eventuali rischi della partecipazione alle sperimentazioni. Al termine della sperimentazione, l’impatto economico che può avere l’introduzione del nuovo farmaco sul S.S.N.».
Andrea Buzzi, Fondazione Paracelso
«Un aspetto sul quale i pazienti possono influire è il consenso informato, un documento nella maggior parte dei casi illeggibile e incomprensibile, non pensato in nessuna maniera per i pazienti. In questo caso sarebbe opportuno che nel consenso informato del protocollo venga scritto che l’azienda si impegna a perseguire la politica dei prezzi che renda accessibile il farmaco al maggior numero di persone. L’altro contributo che i pazienti possono dare in qualunque contesto è di tipo esperienziale, importantissimo ma ci deve essere qualcuno che lo accogli e lo ascolta. I pazienti hanno mille esigenze a cui noi cerchiamo di dare risposte. Il paziente aderisce a uno studio clinico in virtù di un rapporto di fiducia con il medico ma i contenuti tecnici sono difficili da comprendere per lui e questo è un ostacolo importante».
Davide Petruzzelli, La Lampada di Aladino
«Senza pazienti non c’è ricerca e senza ricerca non ci sono progressi nelle cure delle malattie. Le Associazioni pazienti in quanto tali hanno al loro interno i malati che sono i migliori interpreti per rappresentare, valutare e misurare i bisogni e i percorsi terapeutici. Chi meglio di un paziente può dire se quel determinato protocollo di cura sia efficiente in rapporto alle proprie esigenze? I pazienti offrono il punto di vista di chi vive sulla propria pelle la malattia e utilizza un certo farmaco. Non si può fare sperimentazione senza sentire il parere dei pazienti e di chi li rappresenta. C’è bisogno che il paziente sieda al tavolo insieme allo sperimentatore per decidere il disegno dello studio, poi dovrebbe decidere insieme ad AIFA come trattiamo quel certo farmaco e che valore ha quel farmaco (che è cosa diversa dal costo) per il paziente e alla fine bisogna anche valutare e misurare nella vita reale cosa succede. L’ostacolo è politico non tecnico. Noi Associazioni pazienti abbiamo fatto tutto il percorso di crescita che ci era stato richiesto, ora attendiamo di essere coinvolti in modo sistematico e strutturato».
Gianna Puppo, LIFC – Lega Italiana Fibrosi Cistica
«Le Associazioni pazienti possono svolgere un ruolo fondamentale proprio perché rappresentano la voce stessa dei pazienti. È assolutamente indispensabile, infatti, che siano sempre più coinvolti nella valutazione dei percorsi di cura. I pazienti, meglio di chiunque altro, possono esprimere bisogni e necessità reali, oltre che specificamente individuali, utili per delineare un quadro clinico che sia il più completo possibile. In fondo sono loro che sperimentano in prima persona gli effetti della patologia e delle terapie e il loro contributo può rappresentare la sintesi ideale tra risultati e prospettive per i trial che li riguardano».
Rita Vetere, Salute Donna
«Le Associazioni pazienti da sempre attente ad assicurare l’aderenza alle cure del paziente, nel suo stesso interesse, sono altresì attente ad individuare i sintomi che hanno maggior impatto sulla qualità della vita per definire la modalità più adatta di somministrazione del farmaco individuato, valutandone la tollerabilità, gli effetti collaterali ed evidenziando gli bisogni terapeutici trascurati. È importante dunque: coinvolgere le Associazioni pazienti nella predisposizione della documentazione come il foglio informativo e il consenso informato; stabilire con i medici sperimentatori procedure e modalità di comunicazione dei risultati accidentali; dedicare la necessaria attenzione nella comunicazione dei referti, favorendo l’eventuale ascolto successivo del paziente attraverso strumenti informatici; uno scambio ricorrente con il mondo accademico allo scopo di approfondire ed aggiornare costantemente le competenze dei volontari; individuare all’interno dell’Associazione un “Gruppo di lavoro” dedicato».
Stefania Vallone, WALCE – Women Against Lung Cancer in Europe
«Per una ricerca a misura di paziente è fondamentale che questo venga coinvolto nei processi che hanno un impatto sulla sua vita per comprenderne il punto di vista e tenerne conto nel disegno dei protocolli. Le Associazioni possono avere un ruolo importante nell’analisi e condivisione dei risultati ottenuti, attraverso il coinvolgimento nell’interpretazione, nella spiegazione e nella diffusione degli stessi, al fine di renderli trasparenti e accessibili a tutti, producendo risultati positivi. Molte Associazioni, per l’esperienza acquisita, oggi potrebbero collaborare in modo propositivo al disegno di uno studio clinico ma sono ancora poche le Associazioni che si possono definire davvero partner in questo processo».
Ufficio stampa Pro Format Comunicazione:
Daniele Pallozzi, cell. 348 9861217 – Alessandra Deswal, cell. 347 6213705;
ufficiostampa@proformat.it – www.proformatcomunicazione.it
LA 6ª EDIZIONE DEL BANDO “FONDAZIONE ROCHE PER LA RICERCA INDIPENDENTE”
PREMIA CON 400 MILA EURO 8 GIOVANI RICERCATORI UNDER 40
CHE REALIZZERANNO IL PROPRIO PROGETTO IN ITALIA
Fondazione Roche premia gli 8 ricercatori under 40 vincitori della sesta edizione del bando, lanciata a novembre 2021;
I vincitori, che operano all’interno di strutture pubbliche e IRCSS, provengono da differenti istituti di ricerca italiani;
Aree terapeutiche: oncologia, ematologia oncologica, oftalmologia, neuroscienze, malattie ereditarie della coagulazione, Covid, e due special grants in digital health e medicina personalizzata (PHC);
Trasparenza, imparzialità e terzietà garantite da Springer Nature, partner internazionale che ha selezionato e valutato i progetti;
Dal lancio del bando, sono stati più di 2300 i progetti presentati, di cui 263 solo per questa edizione, e 56 quelli finora finanziati.
Monza, 13 luglio 2022 – Sono 8 i vincitori della sesta edizione del bando “Fondazione Roche per la ricerca indipendente” premiati oggi al MIND (Milano Innovation District). Si tratta di ricercatori under 40 provenienti da tutta Italia che con i loro progetti ambiscono a migliorare la salute e il benessere dei pazienti in aree ad alto bisogno: oncologia, ematologia oncologica, oftalmologia, neuroscienze, malattie ereditarie della coagulazione, Covid, digital health e medicina personalizzata (PHC). I progetti, finanziati complessivamente con 400mila euro (50 mila ciascuno), sono stati valutati dal prestigioso partner Springer Nature e hanno superato una selezione di 263 progetti.
Terapie innovative in tempi rapidi, accesso al maggior numero di persone che ne hanno bisogno, collaborazione pubblico privato. Questi sono alcuni degli aspetti sui quali gli ultimi anni ci hanno spinto a una riflessione, mettendo in luce l’importanza della ricerca scientifica e, soprattutto, quanto sia indispensabile tenerla viva nel nostro Paese. La scelta di Fondazione Roche di valorizzare il lavoro dei giovani ricercatori italiani attraverso il bando va proprio in questa direzione.
“La ricerca indipendente in Italia è da sempre al centro delle attività di Fondazione Roche – introduce Mariapia Garavaglia, Presidente di Fondazione Roche. Siamo certi che investire sui giovani ricercatori sia un valore enorme per il nostro Paese. Oggi più che mai, infatti, dobbiamo impegnarci a ricostruire un Sistema che risponda alle richieste di salute in continuo cambiamento e continuare a cercare soluzioni in grado di migliorare la salute delle persone in tutti gli ambiti terapeutici. Bisogna quindi investire sui giovani ricercatori per coltivare i talenti nel nostro Paese e per contribuire allo sviluppo economico del Sistema Italia. Noi di Fondazione Roche confermiamo il nostro impegno, infatti, oltre alle premiazioni di oggi, anticipo che a novembre lanceremo la 7ª edizione del Bando “Fondazione Roche per la Ricerca Indipendente”.
Dal suo lancio ad oggi, il Bando “Fondazione Roche per la Ricerca indipendente” ha stanziato oltre 4 milioni di euro, affermandosi come una delle iniziative di maggior successo in questo ambito: sono stati più di 2300 i progetti candidati negli anni, di cui 263 solo per questa edizione, e 56 quelli finora finanziati, di cui oltre il 65% presentato da giovani ricercatrici.
Alla premiazione ha partecipato anche Ilaria Capua, Direttore centro di eccellenza One Health Università della Florida, che ha dichiarato: “Oggi più che mai, investire sul talento dei giovani dev’essere una priorità per il nostro Paese, e iniziative come questa permettono di esprimere la potenza della ricerca anche attraverso la diversità. Bisogna fare in modo di trattenere ed incentivare le ricercatrici in modo che possano dare il massimo, anzi sempre di più”.
I vincitori premiati oggi, 6 ricercatrici e 2 ricercatori under 40, provengono da differenti istituti di ricerca italiani: Istituto Europeo di Oncologia di Milano, Università degli Studi di Milano, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma, Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Milano e Genova, Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano-Isontina di Trieste, Università degli Studi di Napoli Federico II e Università del Piemonte Orientale di Novara.
Al fine di continuare a garantire la massima trasparenza nell’interazione e nella collaborazione con la classe medica, le strutture ospedaliere e gli enti di ricerca, il processo di valutazione e selezione dei progetti è stato affidato anche per questa sesta edizione al prestigioso partner internazionale Springer Nature, leader nel mondo della ricerca e dell’educazione scientifica, garante di imparzialità e terzietà.
“Noi di Springer Nature vogliamo ricoprire un ruolo chiave nello sviluppo della prossima generazione di ricercatori e prendiamo questa responsabilità molto sul serio – dichiara Richard Hughes, Vice President, Publishing, Nature Research Partnerships Springer Nature. Essere coinvolti in questo programma per noi è un onore, perché giovani scienziati all’inizio della carriera e grazie al loro talento possono vedere finanziate alcune delle loro idee di ricerca indipendente, in un contesto in cui la competizione per i finanziamenti rappresenta una grande sfida. I progetti vengono esaminati e valutati per qualità e innovazione inizialmente da un team di esperti interni a Springer Nature e successivamente da un panel esterno di esperti nelle varie aree terapeutiche oggetto del bando, che valuta anche il modo in cui la soluzione proposta viene esplorata ed affrontata. Infine, la giuria si riunisce per la sessione di discussione finale e il presidente formula la motivazione per l’assegnazione del grant in ciascuna area. La fase finale – conclude Hughes – è la più difficile perché non è insolito che ci siano più proposte con lo stesso punteggio oppure con punteggi molto simili. Ci focalizziamo sulla qualità scientifica e sul calibro innovativo dell’idea, fiduciosi che le proposte scelte abbiano un potenziale eccezionale, e penso che i progetti premiati oggi lo confermino”.
Fondazione Roche
La Fondazione Roche persegue lo scopo di favorire la ricerca scientifica indipendente, l’assistenza sanitaria, l’attività delle associazioni che sostengono i pazienti ed il dibattito pubblico su tematiche istituzionali ed organizzative concernenti il sistema sanitario nazionale ed europeo. Tema ispiratore dell’azione della Fondazione Roche è l’attenzione alla persona-paziente e ai suoi bisogni di salute, con il triplice obiettivo di contribuire alla ricerca indipendente, seria e scientificamente solida; intraprendere un dialogo continuo con le istituzioni per trovare strade capaci di abbattere le limitazioni dei diritti del cittadino; sostenere in maniera responsabile le associazioni pazienti e le realtà no-profit del territorio.
Ufficio stampa Fondazione Roche
Alessandra Campolin alessandra.campolin@secnewgate.it
Martina Barazzutti martina.barazzutti@secnewgate.it
Contatti Fondazione Roche
Francesco Frattini francesco.frattini@roche.com
GRAZIE AL PREMIO “FONDAZIONE ROCHE PER LA RICERCA” ALTRI 12 GIOVANI RICERCATORI REALIZZERANNO IL PROPRIO PROGETTO IN ITALIA.
LA FONDAZIONE LANCIA ANCHE LA QUINTA EDIZIONE DEL BANDO DEDICATO AI GIOVANI SCIENZIATI UNDER 40.
“Il Covid, comparso da non molti mesi, sarà sconfitto dalla ricerca”, è quanto ha affermato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricordando che oggi più che mai la priorità per ogni Paese europeo è sostenere la ricerca, perché solo la scienza può darci le soluzioni per una vera ripresa. Visione pienamente condivisa da Fondazione Roche, che fin dalla sua nascita fa del sostegno alla ricerca indipendente uno dei propri pilastri. Durante il webinar tenutosi oggi e condotto dalla giornalista Rai Laura Chimenti, Fondazione Roche ha annunciato il via alla nuova e quinta edizione del bando “Fondazione Roche per la Ricerca Indipendente”. Con l’occasione sono stati premiati anche i 12 vincitori dell’edizione 2019, selezionati e valutati dal prestigioso partner Springer Nature. Il programma ha come obiettivo primario sostenere la ricerca indipendente di giovani scienziati under 40, finanziando progetti in grado di migliorare la salute e il benessere dei pazienti in diverse aree ad alto bisogno.
“La ricerca è da sempre al centro delle attività di Fondazione Roche – introduce Mariapia Garavaglia, Presidente di Fondazione Roche – e siamo certi che tenerla viva nel nostro Paese sia un valore enorme per tutto il Sistema Salute. Oggi più che mai abbiamo bisogno della scienza per rispondere alle sfide, non solo in merito alla pandemia che ha travolto il mondo, ma anche per continuare a cercare risposte in grado di migliorare la vita dei pazienti in tutti gli ambiti terapeutici. Bisogna quindi sostenere la ricerca non solo sotto forma di finanziamenti per la comunità scientifica, ma anche attraverso iniziative di formazione e informazione per far comprendere quanto sia prezioso condurre una buona ricerca: per i giovani, per gli scienziati, per i pazienti e per l’intero Sistema Paese”.
In un momento senza precedenti in cui tutto il Sistema Salute è proiettato verso la risoluzione della pandemia da coronavirus e la ripresa del Paese, Fondazione Roche continua a dare sostegno alla ricerca scientifica indipendente, convinta che la promozione della collaborazione tra pubblico e privato sia in grado di fare la differenza per un approccio alla terapia medica sempre più personalizzato. Confermato infatti, anche per quest’anno, il finanziamento di 8 progetti di ricerca con grant del valore di 50 mila euro cada uno. Alle aree di interesse protagoniste dell’ultima edizione si aggiunge il finanziamento di progetti orientati alla ricerca sull’impatto psicologico e comportamentale causato dalla pandemia da COVID-19.
Altro obiettivo primario della Fondazione, a conferma dell’impegno annunciato con il programma “La Roche che vorrei” che mira a garantire la massima trasparenza nell’interazione e nella collaborazione con la classe medica, le strutture ospedaliere e gli enti di ricerca, è garantire imparzialità e terzietà nel processo di valutazione e selezione dei progetti. Per questo motivo prosegue la collaborazione con il partner internazionale Springer Nature, leader nel mondo della ricerca e dell’educazione scientifica.
“Il bando mette in evidenza che sia Fondazione Roche sia Springer Nature riconoscono il ruolo cruciale che la scienza deve svolgere nell’affrontare le sfide globali, compresa l’attuale pandemia. I finanziamenti sono la linfa vitale della ricerca, ma la competizione per i fondi, in particolare tra i ricercatori all’inizio della carriera, è feroce – afferma Richard Hughes, Vice President, Publishing, Nature Research Partnerships Springer Nature. Ci congratuliamo con Fondazione Roche per il sostegno ai ricercatori italiani, Springer Nature è orgogliosa di poter aiutare a identificare le proposte di ricerca con il maggior potenziale, e con i 12 vincitori del programma di quest’anno. Non vediamo l’ora di poter vedere e farci ispirare dalle candidature del 2021”.
Dal suo lancio ad oggi sono stati stanziati oltre 3 milioni di euro, ottenendo un crescente successo di pubblico: sono stati più di 1700 i progetti presentati e 40 quelli finora finanziati. I ricercatori vincitori premiati oggi, 7 ricercatrici e 5 ricercatori under 40 provenienti da oltre 10 istituti differenti, si sono aggiudicati un finanziamento di 50.000 euro ciascuno per la realizzazione del proprio progetto in: oncologia, ematologia oncologica, reumatologia, malattie respiratorie, malattie della coagulazione ereditarie, neuroscienze e relazione medico-paziente.
Come in passato, i progetti potranno essere promossi esclusivamente da Enti pubblici o privati italiani, senza scopo di lucro, e da IRCCS. Sarà possibile sottomettere le richieste caricandole direttamente sul sito http://www.rocheperlaricerca.it/ da oggi fino al 1° febbraio 2021. Si conferma l’attenzione verso i giovani, per cui è previsto che il responsabile del Progetto di Ricerca (Principal Investigator) debba avere un’età inferiore a 40 anni. Anche quest’anno Fondazione Roche ha deciso di lasciare l’esclusiva titolarità di ogni invenzione o diritto generato nell’ambito del progetto di ricerca agli enti partecipanti, a conferma della volontà di sostenere la ricerca indipendente.
Fondazione Roche
La Fondazione Roche persegue lo scopo di favorire la ricerca scientifica indipendente, l’assistenza sanitaria, l’attività delle associazioni che sostengono i pazienti ed il dibattito pubblico su tematiche istituzionali ed organizzative concernenti il sistema sanitario nazionale ed europeo. Tema ispiratore dell’azione della Fondazione Roche è l’attenzione alla persona-paziente e ai suoi bisogni di salute, con il triplice obiettivo di contribuire alla ricerca indipendente, seria e scientificamente solida; intraprendere un dialogo continuo con le istituzioni per trovare strade capaci di abbattere le limitazioni dei diritti del cittadino; sostenere in maniera responsabile le associazioni pazienti e le realtà no-profit del territorio.
Contatti Fondazione Roche
Francesco Frattini francesco.frattini@roche.com
Chiara Travagin chiara.travagin@roche.com
Persone non solo Pazienti, la piattaforma di dialogo promossa
da Fondazione Roche insieme a 16 Associazioni, presenta la prima Carta etico-deontologica in Europa per la partecipazione delle Associazioni di Pazienti ai trial clinici, messa a punto insieme a un gruppo di ricercatori di bioetica e biodiritto del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
L’importanza di ottimizzare e rendere più fluidi i trial clinici è un tema già da tempo al centro dell’attenzione di Istituzioni e sperimentatori: il coinvolgimento delle Associazioni di Pazienti in tutte le fasi delle sperimentazioni permette di assicurare maggiore appropriatezza e aderenza alle terapie, superare possibili iniquità nell’accesso alla ricerca, garantire maggiore attenzione ai bisogni sanitari e alle esigenze dei pazienti, ridurre i costi organizzativi con vantaggi per la ricerca, la salute dei pazienti e la sostenibilità del Servizio Sanitario.
Roma, 1° luglio 2020 – Portare il punto di vista di chi affronta la malattia nel cuore della sperimentazione per rendere le terapie sempre più a misura di pazienti e favorire la comprensione e il dialogo tra gli stessi pazienti e i medici. Accelerare il percorso della ricerca clinica e far arrivare prima i farmaci al paziente.
Un contributo importante in questa direzione arriva adesso dalla Carta dei principi e dei valori per la partecipazione dei pazienti ai trial clinici, presentata oggi nel corso di una web press conference.
La Carta, la prima del genere a livello europeo, è il frutto della collaborazione tra un gruppo di ricercatori di bioetica e biodiritto del Consiglio Nazionale delle Ricerche, coordinati da Cinzia Caporale, Comitato Nazionale di Bioetica, e Persone non solo Pazienti, la piattaforma di dialogo promossa da Fondazione Roche insieme a 16 Associazioni.
Scopo dell’iniziativa è fornire delle coordinate a un’importante evoluzione della pratica clinica: la possibilità che i pazienti e le Associazioni possano finalmente dire la loro, ed essere ascoltati, in tutte le fasi della sperimentazione. Se scoprire nuovi farmaci resta compito dei ricercatori, oggi è sempre più valutato il contributo che possono dare al progresso della medicina e all’innovazione le persone che convivono con la malattia.
«Fondazione Roche sostiene la ricerca clinica indipendente che ha l’obiettivo di trovare risposte urgenti e importanti per le malattie più difficili: in quest’ottica, il motore dell’iniziativa di Persone non solo Pazienti è stata l’esigenza crescente che gli studi riflettano il più possibile la real-life, insieme alla necessità di accelerare le procedure e favorire lo svolgimento di trial di qualità in tempi minori – afferma Mariapia Garavaglia, Presidente Fondazione Roche – la presenza delle Associazioni di Pazienti è una garanzia di partecipazione e controllo, perché nessuno più dei pazienti può sentire l’urgenza e la fretta di bruciare le tappe nelle varie fasi della sperimentazione e d’altra parte attraverso la loro esperienza diretta della malattia i pazienti possono fornire indicazioni concrete a chi studia e ricerca. Questo strumento può aiutare i pazienti a essere protagonisti nel dialogo sia con i ricercatori che con i decisori politici».
La Carta dei principi e dei valori vuole agevolare il riconoscimento formale del ruolo delle Associazioni di Pazienti proponendosi come una bussola di orientamento etico per tutti gli attori coinvolti: gli sperimentatori, il personale sanitario, i pazienti e le loro Associazioni ma anche le Istituzioni e gli ordini professionali in vista dell’elaborazione di norme deontologiche.
«Questa Carta è per noi una prima proposta, un punto di partenza migliorabile con la partecipazione di Istituzioni, comunità scientifica e di altre Associazioni di Pazienti. Fin d’ora però riteniamo che la Carta abbia la forza per determinare un cambiamento, che speriamo possa attuarsi con progetti pilota e in questa ottica siamo a disposizione per avviare percorsi virtuosi con singole realtà – afferma Cinzia Caporale, Comitato Nazionale di Bioetica – solo la misura della concreta applicazione potrà dirci come integrare ed eventualmente modificare la Carta, con l’obiettivo di farla diventare un riferimento nazionale. Questa Carta, nata da un lavoro collettivo, si potrà consolidare solo attraverso un lavoro congiunto con gli operatori della salute»
Ma come si dovrebbe concretizzare il coinvolgimento delle Associazioni di Pazienti in tutte le fasi dei trial clinici e quali sono i benefici?
La Carta delinea in primo luogo una serie di impegni reciproci tra sperimentatori e Associazioni di Pazienti: i primi dovrebbero riconoscere il ruolo e il contributo significativo dei pazienti e delle Associazioni al progresso della medicina, promuovere l’autonomia dei pazienti e fornire alle Associazioni informazioni e risultati preliminari in modo continuativo.
Le Associazioni grazie alle loro competenze e all’esperienza maturate dai propri rappresentanti dovrebbero essere accreditate da parte degli Enti autorizzativi competenti, collaborare con gli sperimentatori in tutte le fasi previste dal protocollo sperimentale, rendere fruibili agli sperimentatori le informazioni ricevute e le esigenze espresse dai pazienti e dagli iscritti.
L’azione propedeutica per il coinvolgimento nei trial delle Associazioni di Pazienti è riconoscerne formalmente il ruolo attraverso la definizione di requisiti di accreditamento validi per l’intero territorio nazionale e mutuamente riconosciuti nei Paesi UE.
La Carta suggerisce di coinvolgere le Associazioni di Pazienti sin dalla fase di progettazione di nuovi studi e di elaborazione del disegno dei trial clinici. Il vantaggio fondamentale sarebbe quello di poter definire gli obiettivi delle sperimentazioni in modo più rispondente alle reali esigenze dei pazienti in termini di efficacia, sicurezza, funzionalità e sopravvivenza, favorendo un approccio personalizzato alle terapie farmacologiche.
Nella fase di arruolamento il coinvolgimento delle Associazioni, oltre a permettere un arruolamento dei pazienti più rapido e affidabile, aiuta a superare possibili iniquità nell’accesso alla ricerca scientifica e ai trial clinici, che costituiscono per molte patologie l’unica prospettiva di miglioramento. Il coinvolgimento delle Associazioni nel disegno dei trial può ridurre il rischio che l’arruolamento dei pazienti avvenga in modo arbitrario, tramite il controllo dei criteri di inclusione/esclusione.
Nello svolgimento del trial, le Associazioni di Pazienti possono segnalare aspetti determinanti per misurare l’impatto dei farmaci sui pazienti, quali i sintomi con un maggior impatto sulla qualità della vita, le modalità di somministrazione dei farmaci più adatte alla gestione ordinaria delle cure, la tollerabilità degli effetti collaterali, eventuali aspetti del percorso di cura non adeguatamente considerati.
Infine, prima, durante e dopo il trial le Associazioni di Pazienti sono una risorsa insostituibile per trasferire ai pazienti le informazioni sui trial e chiarire i loro dubbi, favorire l’incontro tra il linguaggio del paziente e quello dei ricercatori, facilitare la comprensione del consenso informato e contribuire alla diffusione dei risultati della sperimentazione.
In definitiva, la partecipazione delle Associazioni di Pazienti ai trial clinici favorisce l’efficienza nello sviluppo dei farmaci e garantisce maggiore attenzione ai bisogni sanitari: ottimizza lo svolgimento dei trial, ne migliora la sostenibilità riducendo i costi organizzativi, promuove l’appropriatezza prescrittiva e favorisce un approccio personalizzato alle terapie farmacologiche.
«Ci aspettiamo che la Carta non serva solo per accreditare le Associazioni di Pazienti verso i ricercatori ma rivesta un significato più generale nella conoscenza e nell’apprezzamento della ricerca indipendente – osserva Mariapia Garavaglia – da oggi intorno alla Carta si può sviluppare un confronto su temi eticamente rilevanti: le modalità di arruolamento nei trial, l’informazione da dare ai pazienti, la scelta delle priorità e degli obiettivi degli studi clinici, la comunicazione dei risultati».
Il punto di vista delle Associazioni di Pazienti
Nicoletta Cerana, ACTO – Alleanza Contro il Tumore Ovarico
«Uno degli ostacoli più sentiti in fase di accesso è la discriminazione nei criteri di arruolamento, di inclusione ed esclusione. L’Associazione di Pazienti deve intervenire per garantire una reale equità di accesso e questa garanzia è particolarmente importante quando si parla di sperimentazioni clinica e donne. Sappiamo infatti che ancora oggi la percentuale di donne arruolate supera difficilmente il 20% negli studi clinici di fase 3 e che si avvicina allo zero negli studi clinici di fase 1 e 2. Questa “cecità di genere”, cioè la sotto rappresentazione delle donne nelle sperimentazioni farmacologiche, è molto pericolosa per la salute delle donne stesse soprattutto a fronte delle recenti acquisizioni nell’ambito della farmacogenomica e delle terapie personalizzate. Noi Associazioni di Pazienti possiamo contribuire a superare questo ostacolo non solo vigilando sui criteri di accesso, ma anche promuovendo nell’ambito della sperimentazione farmacologica una cultura e una formazione sanitaria più attenta alla dimensione femminile».
Martina Bassi, AISM – Associazione Italiana Sclerosi Multipla
«Le Associazioni di Pazienti hanno un ruolo fondamentale nel processo di ricerca: basti pensare al ruolo insostituibile che svolgono nel favorire la diffusione delle informazioni relative ai risultati della ricerca attraverso i propri canali di informazione, in primis i siti web, e alla loro importanza nel favorire la comprensione di materie che possono risultare complesse con la necessaria accuratezza e approfondimento e senza mai scadere in banalizzazioni.
Le Associazioni di Pazienti hanno quindi un ruolo fondamentale nel mettere in collegamento due mondi che potrebbero risultare distanti: quello della ricerca e quello delle persone con patologia, unite verso lo stesso grande obiettivo far sì che la ricerca abbia come fine ultimo risultati concreti e tangibili nella vita delle persone».
Antonio Minoia, AMICI – Associazione Nazionale delle persone affette da Colite Ulcerosa o Malattia di Crohn
«Tutti i pazienti hanno diritto di conoscere e accedere alle diverse opzioni terapeutiche disponibili per gestire al meglio la loro malattia. I trial clinici sono per alcune patologie, per le quali non esistono ancora farmaci efficaci, l’unica strada percorribile. Per altre malattie rappresentare invece un’ulteriore opzione terapeutica e la possibilità di un miglioramento delle condizioni di salute e della qualità di vita.
Le Associazioni di Pazienti possono avere, in questo ambito, un ruolo fondamentale nel rendere noti i trial attivi e nel fornire tutte le informazioni necessarie affinché l’ammalato possa conoscere e fare una scelta consapevole. Per rendere attuabile tutto questo è necessario che le Associazioni di Pazienti siano coinvolte attraverso la condivisione di informazioni e la disponibilità dei dati in tutte le fasi della sperimentazione, dalla progettazione alla selezione dei candidati, dallo svolgimento fino alla pubblicazione dei risultati.
Le Associazioni potrebbero inoltre rappresentare un valido supporto al paziente, per aiutarlo nella relazione con il centro e l’interpretazione dell’andamento del trial, anche attraverso l’aiuto di un Patient Support Program se disponibile».
Sava Severoni, ANMAR – Associazione Nazionale Malati Reumatici
«Forti della convinzione dell’importanza delle Associazioni nei trial clinici, abbiamo lavorato alla costruzione della Carta mettendo a disposizione le nostre competenze e conoscenze a beneficio dell’innovazione terapeutica e dell’integrazione del percorso di cura del paziente con la sua qualità di vita. Abbiamo profusamente manifestato l’importanza del ruolo del paziente esperto utile nel semplificare l’arruolamento del paziente, a garanzia dello svolgimento dello studio mantenendo l’aderenza, favorendo l’innovazione terapeutica profilata e personalizzata, ottimizzando e razionando i costi a favore dell’appropriatezza. Accompagnare il paziente nei trial rappresenta per noi una mano tesa all’opportunità di cura e alla speranza».
Antonella Celano, APMARR – Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare
«Per un paziente, la comunicazione con il medico è sempre complessa, e lo è ancor di più all’interno di un processo di ricerca. Proprio per questo, le Associazioni di Pazienti devono essere coinvolte fin dall’inizio del trial clinico, perché grazie alla presenza dell’Associazione il paziente potrà comprendere meglio il Consenso informato e firmarlo con maggiore consapevolezza. Più in generale, l’Associazione può facilitare la comprensione di tutte le terminologie e le pratiche complesse legate al trial.
Inoltre, se il paziente cerca informazioni sul web, l’Associazione potrà indirizzarlo verso informazioni validate e certificate. In definitiva, il ruolo delle Associazioni è fondamentale per sostenere con le loro informazioni la permanenza del paziente all’interno di tutto il percorso del trial clinico».
Rosanna D’Antona, Europa Donna Italia
«La disomogeneità e le diseguaglianze che caratterizzano molte prestazioni sanitarie nel nostro Paese hanno conseguenze particolarmente gravi quando riguardano le sperimentazioni cliniche, dove le barriere geografiche e le difficoltà nel reperire e nel decodificare le informazioni impediscono a pazienti in condizioni critiche di ricevere possibili terapie salvavita. Le Associazioni di Pazienti rappresentano una risorsa concreta, a servizio dei pazienti e dei ricercatori, per garantire una partecipazione equa ed adeguata ai trial clinici: il loro ruolo nella messa a punto e nell’esecuzione dei trial non può più ridursi a una raccomandazione generica ma deve essere parte integrante ed effettiva della normativa di riferimento».
Andrea Buzzi, Fondazione Paracelso
«A rendere opportuna e necessaria la partecipazione attiva dei pazienti alla progettazione e alla conduzione degli studi clinici, ci sono innanzi tutto ragioni etiche, efficacemente sintetizzate nel principio “nothing about me without me” (niente su di me senza di me), enunciato al termine del Seminario globale di Salisburgo nel 1998. L’inclusione dei pazienti o di loro rappresentanti in tutto il percorso assistenziale, compreso lo sviluppo dei farmaci, è inoltre potenzialmente migliorativo dell’intero sistema anche in termini di efficienza e appropriatezza, parole e concetti chiave in un contesto di ricorrenti richiami alle ingenti risorse economiche necessarie per sostenere i servizi sanitari e alla loro limitatezza».
Emanuela Crapanzano, Famiglie SMA
«Al di là delle possibili differenze legate alla patologia o all’età del paziente che affronta il trial clinico o alla fase del trial, che implica reazioni molto diverse, una cosa accomuna tutti i pazienti coinvolti in un trial: il fatto che non debbano mai sentirsi soli.
Perché l’aderenza sia mantenuta, è fondamentale che un piccolo fastidio, una fase di stanchezza, qualsiasi tipo di problema, dal fisico al logistico, agli effetti collaterali, possa essere colto appena emerge, prima di dare luogo a un disagio insopportabile.
Per questo scopo si rende opportuna la figura di un counselor o psicologo che possa svolgere il ruolo di importante mediatore tra il paziente e i medici o tra il paziente e l’azienda farmaceutica. In questo scenario, l’Associazione ha il compito di concorrere a identificare questa figura professionale nonché quello di incaricarsi della sua formazione nell’ambito specifico della patologia di riferimento».
Rosa Ioren Napoli, FIMARP – Federazione Italiana IPF e malattie rare polmonari
«I pazienti con malattie rare hanno grandi aspettative nei confronti dei trial clinici, perché dai trial sperano di poter ottenere la cura che possa guarire la propria patologia o almeno riuscire a contenerla. Tutte le fasi del trial sono egualmente importanti, ma quelle per le quali si deve avere maggiore cura sono la modalità di accesso e la modalità d’informazione sui risultati. Le modalità di accesso devono essere chiare e trasparenti, come chiari e trasparenti devono essere i criteri in base ai quali i pazienti vengono assegnati a un gruppo piuttosto che a un altro, anche per garantire la propria salute. I risultati devono essere trasmessi alle Associazioni che hanno il compito di diffonderli in modo che tutte le persone interessate possono accedere alle informazioni e venga reso noto lo stato di avanzamento in cui si trova la sperimentazione di un nuovo farmaco».
Davide Petruzzelli, FAVO, Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia – La Lampada di Aladino
«Le Associazioni di Pazienti devono essere accreditate per la partecipazione attiva ai trial clinici, per accogliere il patrimonio che deriva dall’esperienza diretta con la malattia. Una ricchezza di informazioni ad alto valore aggiunto. Informazioni che non si possono studiare sui libri perché sono conoscenze esperienziali. È una scienza laica di cui il nostro sistema si deve dotare.
Le Associazioni di Pazienti sono pronte ad affrontare questa nuova sfida, ma perché ciò avvenga servono almeno due passaggi fondamentali uno culturale e uno pratico. Culturale perché dobbiamo pensare che questo coinvolgimento dovrà essere non solo di facciata ma vero e attivo. Dobbiamo essere consapevoli e convinti che questo tipo di partecipazione è davvero un valore aggiunto e irrinunciabile. Pratico, perché servono dei criteri per accreditare queste organizzazioni, quindi un riconoscimento formale basato requisiti ben definiti, validi sull’intero territorio nazionale e mutuamente riconosciuto nei Paesi dell’UE».
Daniele Preti, FedEmo – Federazione delle Associazioni Emofilici
«Il sostegno all’attività di informazione sugli studi clinici svolto da parte delle Associazioni di Pazienti può recitare un ruolo importante nel trasferire ai pazienti in modo completo e con un linguaggio semplificato e alleggerito da tecnicismi tutte le informazioni necessarie per una migliore comprensione dei presupposti, delle finalità e delle modalità di esecuzione di un trial.
La specifica informazione che le Associazioni potrebbero offrire ai pazienti rispetto a quello che è probabilmente il documento più importante per chi partecipa a uno studio, ovvero il consenso informato costituirebbe un elemento di valore, in grado di assicurare la piena consapevolezza dei partecipanti rispetto all’iter del trial e al proprio ruolo all’interno di esso, favorendo la motivazione e la compliance dei pazienti.
Una diffusione e una esaustiva illustrazione ai pazienti dei risultati di un trial, infine, costituiscono ulteriori importanti aspetti relativi all’attività di informazione che le Associazioni potrebbero supportare. Offrire all’intera comunità dei pazienti e con un linguaggio semplificato l’accesso ai dati e alle risultanze conclusive di uno studio, affiancando in tal modo l’informazione normalmente ristretta alle riviste scientifiche, all’ambito clinico risulterebbe certamente utile per aumentare la consapevolezza dei pazienti e rendere pienamente il senso della loro partecipazione ai trial».
Gianna Puppo Fornaro, LIFC – Lega Italiana Fibrosi Cistica
«Oggi finalmente e concretamente parliamo dei diritti dei pazienti e dell’ascolto della loro voce nei trial clinici.
Il paziente coinvolto nelle sperimentazioni cliniche può rappresentare una grande risorsa; nessuno meglio dei pazienti può esprimere un bisogno prioritario, utile anche alla comunità scientifica e che tenga conto anche del miglioramento della qualità della vita. Le Associazioni pazienti andrebbero coinvolte più attivamente nella stesura di un disegno di sperimentazione clinica e questa “Carta” è la risposta che le Associazioni e i pazienti aspettavano».
Stefania Vallone, WALCE – Women Against Lung Cancer in Europe
«Gli studi clinici rappresentano per i pazienti un’opportunità insostituibile per aver accesso a trattamenti innovativi e in questo gioca un ruolo fondamentale l’informazione corretta. Il coinvolgimento delle Associazioni di Pazienti nell’ambito della sperimentazione clinica è determinante in quanto le Associazioni rappresentano una risorsa insostituibile sia per trasferire ai pazienti tutte le informazioni che riguardano gli studi clinici che per chiarire dubbi e incertezze. Se adeguatamente formate e coinvolte fin dall’inizio di questo percorso, le associazioni possono diventare un punto di incontro tra i pazienti e i ricercatori, traducendo nel linguaggio dei pazienti termini tecnici molto complessi e aiutando i pazienti nel reperimento di informazioni sul web».
Rita Vetere, Salute Donna
«Il trial clinico è un’opportunità insostituibile per il paziente soprattutto dove non ci sono alternative terapeutiche per il trattamento della sua patologia. In questo contesto l’Associazione di volontariato, purché sia adeguatamente formata, può aiutare molto il paziente a capire come si svolgerà il percorso e a chiarire gli eventuali dubbi. Occorre anche verificare la correttezza dei parametri nella scelta dei pazienti per non sfavorire pazienti che hanno già delle terapie farmacologiche possibili rispetto ad altri che non ne hanno.»
NASCE IL BANDO: “FONDAZIONE ROCHE PER I PAZIENTI”
600.000 EURO A SOSTEGNO DI PROGETTI PRESENTATI DA ASSOCIAZIONI PAZIENTI
VOLTI A GARANTIRE UNA MIGLIORE QUALITÀ’ DI VITA E GESTIONE DELLA PATOLOGIA
Roma, 23 giugno 2020 – Fondazione Roche ha lanciato oggi, con un webinar moderato dal giornalista Gianluca Nicoletti, il nuovo bando “Fondazione Roche per i Pazienti” a sostegno di progetti volti a migliorare la qualità della vita e la gestione della patologia per i pazienti e per chi se ne prende cura, presentati da Associazioni Pazienti e realtà no-profit operanti sul territorio che hanno come obiettivo quello di rispondere ai bisogni di persone che affrontano percorsi di cura.
L’emergenza sanitaria che ha investito il nostro Paese ha messo a dura prova il mondo del Terzo Settore, che ha dato un grande contributo al Sistema Salute nel fornire risposte e sostegno a pazienti e caregiver in questa situazione senza precedenti. La preoccupazione maggiore, oggi, è che superata la fase più intensa dell’emergenza, le già limitate risorse dell’SSN vengano dirottate esclusivamente sulle problematiche legate al Covid-19, con il rischio di dimenticare i bisogni dei pazienti più fragili.
In una fase storica in cui il ruolo delle Associazioni Pazienti sarà ancora più rilevante per la ripresa del Paese, Fondazione Roche intende supportare queste realtà finanziando 30 progetti per la realizzazione di servizi e attività dedicati alle persone che affrontano o hanno affrontato un percorso di cura nelle aree Oncologia ed Ematologia Oncologica, Malattie Rare, Neuroscienze e Immunologia.
“Con questo bando, Fondazione Roche si pone l’obiettivo di sostenere l’associazionismo, le famiglie e anche le istituzioni in un momento storico senza precedenti – commenta Mariapia Garavaglia, Presidente di Fondazione Roche. Riteniamo di fondamentale importanza supportare la realizzazione di progetti che aiutino concretamente il Sistema Salute, agevolando le persone che ogni giorno convivono direttamente o indirettamente con malattie spesso di difficile gestione. Dobbiamo impegnarci a garantire, promuovere e tutelare la salute e l’assistenza sanitaria senza dimenticare i più fragili, fornendo un supporto responsabile agli attori che operano in questo contesto”.
L’imponente sostegno economico messo a disposizione da Fondazione Roche, pari a 600.000 euro, sarà equamente diviso tra le tre aree terapeutiche, ossia per ciascuna verranno finanziati 10 progetti a cui saranno destinati 200.000 euro. La valutazione dei progetti, che potranno essere candidati da Associazioni Pazienti, Fondazioni e Partenariati sul sito www.fondazioneroche.it entro il 15 settembre 2020, sarà affidata a Fondazione Sodalitas in qualità di partner esterno, con cui Fondazione Roche collabora fin dalla sua nascita.
“Da sempre siamo accanto a chi opera nel Terzo Settore, convinti del suo ruolo fondamentale a sostegno dei pazienti e delle famiglie che se ne prendono cura. Alla luce delle difficoltà organizzative e assistenziali emerse durante la pandemia da Covid-19, riteniamo necessario unire le forze e trovare nuove soluzioni per ricostruire e ripartire – afferma Francesco Frattini, Segretario Generale di Fondazione Roche. Negli ultimi due anni abbiamo maturato un’esperienza importante nel mondo delle malattie rare. La qualità dei progetti presentati e l’interesse registrato da parte delle Associazioni Pazienti ci ha spinto ad ampliare il bando “Fondazione Roche per i pazienti”, estendendo l’impegno anche in Oncologia ed Ematologia Oncologica, Neuroscienze e Immunologia. Le risorse allocate saranno destinate al finanziamento di 30 progetti selezionati e valutati da Fondazione Sodalitas, con cui siamo felici di proseguire questa bella collaborazione”.
“Promuovere il contributo dell’impresa per la crescita della comunità, realizzando partnership di qualità con gli stakeholder di riferimento al fine di generare valore sociale, è da 25 anni la mission di Fondazione Sodalitas – dichiara Massimo Ceriotti, Responsabile marketing associativo Fondazione Sodalitas. Da questo punto di vista l’iniziativa presentata oggi è esemplare, perché si traduce in un contributo concreto e mette a disposizione competenze estremamente qualificate per affrontare situazioni di fragilità, rese ancora più acute dall’emergenza Covid-19. Con questo bando, Fondazione Roche dà infatti una risposta d’impatto ai bisogni del Terzo Settore, dei pazienti e delle loro famiglie. Siamo orgogliosi di poter essere partner di questo impegno”.
Teresa Petrangolini, direttore di Patient Advocacy Lab/ALTEMS e co-fondatrice Cittadinanzattiva: “Le Associazioni Pazienti hanno dimostrato, soprattutto in epoca Covid-19, di essere un soggetto dotato di forte progettualità e un interlocutore indispensabile nelle politiche sanitarie. Compito di chi crede nel valore delle loro azioni è quello di supportarle in tutte le forme possibili: ricerca, formazione, sostegno concreto dei programmi e delle attività, comunicazione, spazi di interlocuzione pubblica. Bene ha fatto la Fondazione a promuovere il bando “Fondazione Roche per i pazienti”, che nel dare sostegno a questo mondo ne riconosce la funzione fondamentale di umanizzazione delle cure, di attenzione alle persone, di spinta per l’innovazione e la qualità del sistema sanitario”.
Con il fine ultimo di promuovere la tutela dei diritti della Persona, il sostegno responsabile delle Associazioni Pazienti è da sempre tra le priorità di Fondazione Roche, che mai come ora sceglie di stare a fianco delle persone, delle loro famiglie e della Comunità a cui afferiscono al fine di supportarle e poter offrire loro una migliore qualità di vita e gestione della patologia.
Fondazione Roche
La Fondazione Roche persegue lo scopo di favorire la ricerca scientifica indipendente, l’assistenza sanitaria, l’attività delle associazioni che sostengono i pazienti ed il dibattito pubblico su tematiche istituzionali ed organizzative concernenti il sistema sanitario nazionale ed europeo. Tema ispiratore dell’azione della Fondazione Roche è l’attenzione alla persona-paziente e ai suoi bisogni di salute, con il triplice obiettivo di contribuire alla ricerca indipendente, seria e scientificamente solida; intraprendere un dialogo continuo con le istituzioni per trovare strade capaci di abbattere le limitazioni dei diritti del cittadino; sostenere in maniera responsabile le associazioni pazienti e le realtà no-profit del territorio.
Fondazione Sodalitas
Fondazione Sodalitas nasce nel 1995 su iniziativa di Assolombarda e un primo gruppo di imprese e manager volontari come la prima organizzazione in Italia a promuovere la Responsabilità sociale d’impresa. Oggi rappresenta un network di imprese leader impegnate nella CSR e sostenibilità. Promuove l’educazione alla generazione di valore sociale condiviso e, in particolare, la cultura delle partnership orientate a costruire un futuro di crescita, sostenibilità, inclusione e coesione, sviluppo diffuso per la comunità. La Fondazione è partner dei principali network internazionali sui progetti di diffusione della sostenibilità, tra cui CSR Europe, il business network leader per la Corporate Social Responsibility ed interlocutore privilegiato della Commissione Europea sulla sostenibilità.
La tennista Francesca Schiavone tra gli ospiti della tavola rotonda “Il coraggio di essere umani. La qualità della vita durante la malattia” promossa a Milano da CasAmica, che da altre 30 anni si occupa di accogliere i malati costretti a curarsi lontano da casa e i loro familiari. Focus con esperti sull’umanizzazione della cura.
«La malattia ti insegna cose nuove, ti instrada verso un nuovo cammino e ti fa scoprire cose nuove, nuovi orizzonti di vita. In questo percorso le cure e gli affetti fanno la differenza, anche per tenere costantemente attiva la mente». A dichiararlo Francesca Schiavone, in occasione della tavola rotonda “Il coraggio di essere umani. La qualità della vita durante la malattia” organizzata da CasAmica Onlus a Milano negli spazi della Società Umanitaria.
La tavola rotonda ha aperto l’evento “Stare Insieme Fa Bene”, un’intera giornata dedicata ai temi dell’accoglienza e del prendersi cura, sostenuta da Fondazione Roche, fortemente impegnata nell’occuparsi dei bisogni di prevenzione, diagnosi, cura e assistenza dei pazienti e delle loro famiglie, lavorando con le istituzioni per superare le possibili limitazioni dei diritti del cittadino.L’iniziativa è supportata anche da Fondazione Antonio Carlo Monzino e Società Umanitaria, e gode del Patrocinio del Consiglio della Regione Lombardia, del Comune di Milano e di Fondazione Cariplo.
L’appuntamento è stato organizzato in occasione dell’imminente Giornata del Malato (11 febbraio) per creare un momento di sensibilizzazione e riflessione sull’umanizzazione della cura e l’importanza dell’accoglienza, attività che dal 1986, l’Associazione CasAmica Onlus porta avanti per sostenere i malati costretti a spostarsi lontano dalla propria città per ricevere le cure necessarie.
La tavola rotonda ha visto il coinvolgimento di figure istituzionali e specialisti del settore. Tra i partecipanti Maria Elena Polidoro, Direttore Generale Società Umanitaria; la Prof.ssa Mariapia Garavaglia, Presidente della Fondazione Roche; Stefano Bolognini, Assessore alle Politiche sociali, abitative e disabilità della Regione Lombardia; Filippo De Braud, Professore ordinario presso l’Università degli Studi di Milano e Direttore del Dipartimento e della Divisione di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano; Laura Gangeri, Pedagogista SSD Psicologia Clinica Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano; Stefano Gastaldi, Direttore Generale CasAmica Onlus. Ha moderato l’incontro Luigi Ripamonti, Direttore Corriere Salute (Corriere della Sera).
“La malattia è una parentesi nella vita, che spesso rappresenta un deserto da attraversare. Il cancro, nonostante abbia attorno a sé molto ricerca e oggi attragga molte risorse, è ancora così temuto da malati e famigliari perché spesso viene affrontato in solitudine. – commenta Maria Pia Garavaglia, Presidente di Fondazione Roche – Sono molto contenta come Fondazione Roche di essere accanto a queste iniziative, che si sposano con i nostri valori e i nostri progetti. Se nel settore più temuto, che è quello che riguarda la salute, c’è ancora generosità e solidarietà come ci testimonia CasAmica, allora attraversare questo deserto può fare meno paura, perché sapere che c’è qualcuno che ci sta vicino ci rende più forti.”
«CasAmica, in oltre 30 anni, ha sviluppato un modello di accoglienza attenta a creare un ambiente confortevole e familiare, finalizzato a far sentire a proprio agio gli ospiti e a permettere loro di condurre una vita il più normale possibile insieme ai familiari, nonostante la lontananza da casa e la malattia, mettendo al centro la persona e non la condizione di malato. Per questo è importante che le organizzazioni del privato sociale impegnate, come CasAmica, nel sostenere i migranti della salute, offrano una casa e dei servizi vicino ai luoghi di cura, diano sostegno psicologico e siano una presenza amica, capace di ascolto e accompagnamento discreto. Tutto questo per far in modo di essere una cura nella cura» ha dichiarato Stefano Gastaldi, Direttore Generale di CasAmica Onlus.
Durante la giornata anche momenti di intrattenimento dedicati a bambini e famiglie, per veicolare i temi dell’accoglienza e della solidarietà attraverso laboratori ludico-ricreativi d musica, pittura, magia e spettacolo. In conclusione, il concerto dei “Solisti di Milano Classica” per allietare la serata con le musiche di Mozart, Haendel e Bach.
Il Master in “Management dei Processi Sanitari”, promosso dal Dipartimento di Ingegneria dell’Università degli Studi di Perugia e con il supporto di Fondazione Roche, si propone di fornire competenze specifiche per la formazione e/o l’aggiornamento del personale dirigenziale di aziende sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private e del personale sanitario.
E’ inoltre destinato ai laureati in Ingegneria Gestionale, Ingegneria Meccanica con indirizzo gestionale, Medicina, Farmacia-CTF ed Economia.
Il Master ha l’obiettivo di formare esperti manager nel settore sanitario, in grado di ottimizzare mezzi, strumenti e risorse per una sanità più efficiente, inclusiva e friendly, più attenti ai bisogni degli
utenti e in particolare delle persone anziane. Il Master fornisce metodologie scientifiche e strumenti derivanti anche dall’Ingegneria gestionale, attualmente non applicati al settore sanitario, per produrre organizzazioni in grado di fornire il bene salute, servizi sanitari efficienti, efficaci ed economicamente sostenibili.
Le conoscenze e le capacità teorico-pratiche che saranno acquisite al termine del corso, prevedono l’approfondimento delle seguenti materie: ingegneria gestionale, ingegneria meccanica, medicina, farmacia-CTF ed economia. Saranno inoltre forniti strumenti di gestione delle dinamiche relazionali e di problem solving. Grazie agli strumenti e alle competenze acquisite, i partecipanti saranno in grado di analizzare, valutare e proporre soluzioni in situazioni e scenari complessi tipici di aziende e strutture sanitarie. Infine, la possibilità di svolgere un periodo di stage presso aziende sanitarie ed ospedaliere pubbliche e private, enti pubblici in ambito
sanitario e aziende farmaceutiche garantisce una formazione completa per un professionista con qualifiche rispondenti alle esigenze del futuro della sanità pubblica e privata.
Per saperne di più, clicca qui.
Effetto placebo: la risposta terapeutica a un’alleanza vincente tra medico e paziente, basata su fiducia e ascolto. Ma quando si deludono le aspettative si scatena
il “gemello cattivo”, l’effetto nocebo.
L’era digitale entra nell’atto terapeutico con nuovi rituali e parole, che modificano
e indeboliscono il rapporto fiduciario tra chi cura e chi è curato.
Serve un web “sano” e riscoprire il valore prezioso e curativo di una relazione in crisi.
Il Corso di Formazione Professionale “Parole che curano, parole che ammalano”,
promosso dal Master della Sapienza SGP ‘La Scienza nella Pratica Giornalistica’
con il supporto di Fondazione Roche, punta i riflettori sulle responsabilità dei Media rispetto
agli effetti positivi e negativi dell’informazione online sui temi della salute,
suggerendo un nuovo modello integrato di cura post-digitale.
Milano, 10 luglio 2019 – Il medico empatico, che accoglie e ascolta il malato, cura meglio e più rapidamente. È risaputo, e non è solo una questione di etica e di competenze tecniche. L’interazione, il dialogo e la condivisione sono la base della cosiddetta “alleanza terapeutica” tra medico e paziente:
un processo millenario, l’atto di cura, fatto di rituali, linguaggi e contatto visivo, basato sulla fiducia e sulla speranza.
La risposta alla preziosa relazione che si instaura tra il curante e chi è curato è l’effetto placebo, una sorta di miglioramento spontaneo, correlato alle aspettative positive del paziente, al rapporto fiduciario con il suo medico e al contesto sociale nel quale è messa in atto la cura: da tempo questa relazione è in crisi. La sbornia tecnologica e la bulimia della comunicazione online, sostenute dalla estrema burocratizzazione sanitaria, con l’introduzione di nuovi protagonisti, nuovi rituali e parole, stanno mettendo a dura prova l’alleanza terapeutica tra medico e paziente, basata da sempre sulla fiducia, e il suo potere curativo.
Capire se e come l’era digitale possa trasformarsi in una opportunità per i pazienti e i medici, attraverso un’informazione in rete più ‘sana’, riscoprire il valore del dialogo e dell’empatia per ricostruire un rapporto in crisi, il tutto mediato da una equilibrata comunicazione dei media, è l’obiettivo del Corso di Formazione Professionale per i giornalisti “Parole che curano, parole che ammalano”, promosso dal Master della Sapienza di Roma “La Scienza nella Pratica Giornalistica” con il supporto di Fondazione Roche.
La qualità del dialogo tra terapeuta e paziente e delle competenze relazionali, oltre che tecniche, influenza l’effetto placebo, al punto che quando le aspettative vengono disattese, si scatena il “gemello cattivo”, l’effetto nocebo con un peggioramento dei sintomi. Oggi sappiamo che l’effetto placebo/nocebo è una conseguenza neurobiologica, una risposta innescata da complessi meccanismi cerebrali, mentali e corporei. Lo studio dell’effetto placebo e nocebo ha permesso ai ricercatori di capire come la speranza e le aspettative di guarigione, la fiducia nel medico e nella terapia, svolgano un ruolo cruciale in molti processi patologici e nelle risposte alle cure.
«L’interpretazione dell’effetto placebo oggi riguarda il ruolo dell’interazione sociale tra colui che cura e colui che soffre – afferma Fabrizio Benedetti, Direttore di Medicina e Fisiologia dell’ipossia, Plateau Rosà, Svizzera e Professore Ordinario di Neurofisiologia, Dipartimento di Neuroscienze Università di Torino – questa relazione, unica e sorprendente, scaturisce dall’emergenza dell’altruismo nel corso dell’evoluzione. A un certo punto i primati hanno cominciato a prendersi cura dell’altro, del più debole, del più anziano, del malato. Questa relazione è sfociata all’inizio nella figura dello sciamano, in grado di infondere speranza e fiducia e creare aspettative positive. L’effetto placebo come lo studiamo oggi altro non è che quanto avviene nel cervello e nel corpo di chi soffre, quando crede e spera e ha aspettative che il futuro sarà migliore del presente».
Eppure adesso basta un click per entrare in un mondo prima inaccessibile, esclusivo dominio dei medici. Quasi un italiano su 2, secondo una ricerca Censis, si rivolge a internet per avere informazioni sui temi di salute. Un patrimonio di conoscenze, informazioni e relazioni virtuali, talvolta corrette, in molti casi allarmistiche o pericolosamente errate, che possono produrre veri e propri effetti nocebo di massa.
«Il rapporto medico-paziente oggi è diventato problematico a causa di due novità: il Dr. Google e la genomica, che rischiano di logorare ancora di più l’alleanza terapeutica – afferma Andrea Grignolio, Docente Medical Humanities e Bioetica, Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e ITB-CNR – eccesso di informazione e disinformazione, medicina iperspecialistica e ipertecnologica, burocrazia, spingono le persone ad autocurarsi e i medici ad un atteggiamento cautelativo che penalizza la relazione. Tuttavia, l’esigenza di tornare al rapporto di fiducia è avvertita in maniera forte. Ricomporre questo rapporto in crisi ha conseguenze importanti da un punto di vista etico, pratico e di salute, perché l’interazione, il dialogo e la condivisione aumentano l’efficacia delle cure».
La comunicazione, da sempre, è centrale per il successo della cura perché è scientificamente provato che il dialogo con il paziente attiva gli stessi meccanismi neurofisiologici del farmaco. Ma anche la rete ‘parla’, ritualizza le relazioni e a seconda delle parole e delle immagini utilizzate può influenzare l’efficacia della terapia, e non solo.
Internet oggi entra nella malattia: la conversazione digitale è la nuova protagonista dell’atto terapeutico. Il paziente non è più isolato ma condivide con altri soggetti, sconosciuti, un problema comune. Si genera in tal modo un percorso di cura del tutto diverso, in cui la figura del medico è marginalizzata, la validità e l’affidabilità delle notizie passano in secondo piano, quel che conta è la modalità di narrazione e l’ascolto, che devono corrispondere ai bisogni, alle aspettative, alle ansie e alle paure di chi vive un momento delicato della propria vita come quello della malattia. Le community online si prendono cura del paziente, quello che spesso non riesce a fare la famiglia, gli amici e lo stesso curante.
«Internet irrompe in tutti i passaggi del percorso di cura: entra quando si insinua il sospetto di avere un problema di salute e si comincia a cercare informazioni; entra quando si incontra per la prima volta un medico o se ne cerca uno più adatto; entra quando si vuole capire meglio quello che il medico ha detto o per chiarirsi le idee; e poi entra durante i trattamenti, e persino quando la malattia si risolve – sottolinea Cristina Cenci, antropologa, CEO di Digital Narrative Medicine, Founder del Center for Digital Health Humanities, Curatrice del blog Digital Health, Nòva24 – nella community online ci si identifica, ci si sostiene e ci si riconosce, in modo libero e con un’efficacia forse migliore, in ogni caso diversa, rispetto alle associazioni. La vicinanza virtuale, non fisica, fa emergere la persona invece che la malattia. Internet entra anche nell’alleanza medico-paziente. Potrebbe essere forse una opportunità per migliorare i percorsi di cura, ma il cammino è lungo e occorre trovare una mediazione tra le due forme comunicative dove, mentre la community conforta e supporta costruendo un patto di gratitudine, il medico offre competenza, decide cure e costruisce un patto di fiducia».
Un servizio di navetta sarà disponibile tutti i giorni per il trasporto degli ospiti dalle sedi romane di CasAmica alle principali strutture ospedaliere per effettuare controlli, terapie e visite
Roma 04 aprile 2019 – Da oggi, grazie alla Fondazione Roche, l’organizzazione CasAmica Onlus, che da oltre trent’anni accoglie malati lontani da casa e bisognosi di cure, metterà a disposizione degli ospiti un servizio di navetta che effettuerà trasferimenti dalle sedi romane di CasAmica alle principali strutture ospedaliere tra le quali il Campus Biomedico, il Bambino Gesù, l’IFO Regina Elena e il Sant’Eugenio, per permettere loro di effettuare controlli, terapie e visite.
Un sostegno concreto per tutte le persone e le famiglie costrette a spostarsi lontano da casa per accedere alle cure necessarie. Infatti, in una grande città come Roma, dove gli spostamenti non sono facili e alcune zone non sono servite dai mezzi pubblici, l’iniziativa promossa dalla Fondazione Roche rappresenta una garanzia per i pazienti, che potranno concordare giorno per giorno il percorso della navetta in base alle proprie esigenze.
“Essere al fianco dei pazienti e supportare realtà come CasAmica Onlus, che nella città di Roma accoglie ogni anno circa 700 ospiti, è una delle principali missioni che si pone la nostra Fondazione – afferma Francesco Frattini, segretario generale Fondazione Roche – Siamo molto orgogliosi di questo servizio, crediamo risponda concretamente alle esigenze di chi, oltre a dover affrontare il percorso di cure, si trova spesso disorientato in una città così grande”.
Il servizio navetta sarà disponibile dal lunedì al venerdì e si stima che nell’arco di 12 mesi saranno effettuati circa 3200 trasferimenti.
Stefano Gastaldi, Direttore Generale CasAmica, conclude affermando che: “La possibilità di accompagnare i nostri ospiti presso gli ospedali per ricevere le cure di cui hanno bisogno è uno dei traguardi più importanti della nostra organizzazione. Assicurare un servizio come questo significa prendersi cura delle persone malate non solo ospitandole, ma anche garantendo loro un appoggio in tutte le fasi della terapia. Siamo grati alla Fondazione Roche che, grazie al suo supporto, ci permetterà di garantire il servizio a tutti gli ospiti delle sedi romane di CasAmica”
Fondazione Roche
La Fondazione Roche persegue lo scopo di favorire la ricerca scientifica indipendente, l’assistenza sanitaria, l’attività delle associazioni che sostengono i pazienti ed il dibattito pubblico su tematiche istituzionali ed organizzative concernenti il sistema sanitario nazionale ed europeo. Tema ispiratore dell’azione della Fondazione Roche è l’attenzione alla persona-paziente e ai suoi bisogni di salute, con il triplice obiettivo di contribuire alla ricerca indipendente, seria e scientificamente solida; intraprendere un dialogo continuo con le istituzioni per trovare strade capaci di abbattere le limitazioni dei diritti del cittadino; sostenere in maniera responsabile le associazioni pazienti e le realtà non-profit del territorio.
Tutte le informazioni su Fondazione Roche sono disponibili su www.fondazioneroche.it
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Fondazione Roche
Francesco Frattini francesco.frattini@roche.com cellulare: 3488818746 | ufficio: 0392474046
Roma, 26 marzo 2019 – A fronte di una maturata consapevolezza circa il ruolo che la digitalizzazione può giocare in sanità tanto nella erogazione di nuovi modelli di cura, quanto in favore della sostenibilità del Servizio Sanitario, l’Italia mostra ancora un quadro di arretratezza: appaiono insufficienti gli investimenti in sanità digitale da parte del sistema pubblico e privato, e poco digitale risulta la gestione del paziente cronico, e più in generale dei cittadini. Sono queste, in estrema sintesi, le conclusioni che si possono trarre dal convegno “Gestione del paziente cronico nell’era della digitalizzazione” che si è svolto oggi a Roma, a Palazzo Giustiniani, su iniziativa di Fondazione Roche.
“Nelle malattie croniche, la digitalizzazione è un tema di primo piano quando si ragiona in termini di programmazione degli interventi sociosanitari”, ha detto, aprendo i lavori, la professoressa Mariapia Garavaglia, Presidente di Fondazione Roche.“In questi mesi, in occasione dei 40 anni nel nostro Servizio Sanitario Nazionale, Fondazione Roche si è posta l’obiettivo di sostenere un dibattito sui valori sui quali esso si fonda: equità, uguaglianza e universalismo – ha aggiunto.In particolare, il suo carattere universalistico può essere messo a dura prova dal divario tra risorse disponibili e bisogni dei cittadini e per rispondere a questi bisogni, garantendo la sostenibilità economica del sistema, le soluzioni digitali rappresentano una leva fondamentale per trovare nuovi equilibri.”
A sostenerlo è anche il prof. Paolo Locatelli, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano “L’innovazione digitale rappresenta l’elemento utile a colmare il divario tra bisogni e risorse”, ha detto illustrando come la digitalizzazione si debba declinare nei processi di rinnovamento organizzativo e tecnologico, ma anche di empowerment del paziente/cittadino e di sviluppo delle competenze degli operatori sanitari.
Cartella clinica, telemedicina, app, dispositivi indossabili, intelligenza artificiale, analisi dei big data e quant’altro, possono, quindi, contribuire a favorire il raggiungimento del traguardo della sostenibilità economica di lungo periodo del Sistema Sanitario Nazionale, contribuendo all’erogazione di un adeguato livello di qualità delle cure, con evidente beneficio per il paziente e per il sistema Paese. Un traguardo, secondo la fotografia tracciata dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, sulla base dei dati Istat e del secondo Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del SSN, messa a dura prova dai numeri: a fronte di una spesa sanitaria complessiva, tra sistema pubblico ed esborso diretto dei cittadini, stabilizzatasi negli ultimi 5 anni intorno ai 145-150 miliardi di euro, il fabbisogno stimato per il 2025 si attesta intorno ai 210 miliardi, dato a cui si deve aggiungere il fatto che la popolazione italiana over 65 sia in forte crescita, rappresentando già oggi il 21,8 per cento del totale – uno dei dati più elevati nel mondo occidentale – e si proietta al 2051 a quasi il 35 per cento, oltre 1 su 3 cittadini.
“Emerge, in effetti – sottolinea il prof. Locatelli – una crescente consapevolezza che le soluzioni digitali possano giocare un ruolo fondamentale nel supportare la transizione verso nuovi modelli di cura. La diffusione di tali soluzioni, tuttavia, stenta oggi a realizzarsi perché manca una orchestrazione coerente della transizione al digitale e perché oneri, rischi e benefici attesi dall’introduzione di nuovi strumenti e modalità di lavoro non sono percepiti come ripartiti equamente fra gli attori del sistema.” Secondo i dati dell’Osservatorio, infatti, la spesa complessiva per la sanità digitale in Italia, tra quanto investito da Ministero della salute, dalle Regioni, dalle singole strutture sanitarie e dalla rete della medicina generale, ammonta a 1,3 miliardi di euro (dati 2017), pari a circa 22 euro per cittadino. “Si tratta di un dato che pone l’Italia in posizioni di retroguardia – ha detto ancora. Si pensi che, senza arrivare ai valori di Paesi scandinavi come la Danimarca, che investe 70 euro, nazioni e sistemi a noi più vicini come quello francese o inglese ‘spendono’ quasi il doppio o il triplo: 60 euro per cittadino la Gran Bretagna e 40 euro la Francia.”
Ad oggi, il digitale nella continuità di cura è ancora poco sviluppato. Ad esempio, secondo un’indagine dell’Osservatorio: le soluzioni che abilitano l’interscambio di dati e documenti sui pazienti attraverso PDTA informatizzati vengono utilizzate solo dal 29 per cento delle aziende sanitarie, con professionisti sanitari dell’azienda ospedaliera appartenenti a diversi dipartimenti, e dal 23 per cento con professionisti all’interno di una o più reti di patologia. Il supporto informatico alle attività di presa in carico del paziente risulta diffuso soprattutto per le attività gestionali e amministrative, come la gestione dei dati anagrafici dei pazienti (nell’80 per cento delle aziende) e la gestione delle prenotazioni (63 per cento). L’informatizzazione stenta, invece, a diffondersi come strumento per la messa in atto di percorsi individualizzati secondo il principio della presa in carico stabile del paziente: solo in media 1 azienda su 3 utilizza un supporto digitale nella definizione, visualizzazione e aggiornamento di piani di assistenza individuale, per l’analisi dei dati dei pazienti e per mettere in comunicazione tutti gli attori del sistema salute.
Anche i cittadini risultano essere “poco digitali”, secondo L’Osservatorio del Politecnico. La mancanza di competenze sembra essere una forte barriera: sono tre su dieci i cittadini che non si sentono in grado di utilizzare questi strumenti, soprattutto fra i più anziani. Per avvicinare i cittadini al digitale, dunque, è necessario aumentare l’offerta di servizi, formare i cittadini/pazienti e valorizzare le soluzioni affidabili e di valore.
I cittadini si mostrano ancora poco digitali anche nella comunicazione col proprio medico: ben sette su dieci preferiscono incontrarlo di persona. Fra coloro che si servono di strumenti digitali, la maggior parte utilizza l’email (15 per cento), poi vengono gli Sms (13 per cento) e infine WhatsApp (12 per cento). Fra i medici che non fanno uso di questi strumenti, uno su due teme che si possano creare incomprensioni con i pazienti ed è diffusa la preoccupazione che l’utilizzo di questi strumenti possa aumentare il carico di lavoro del medico e che possa comportare rischi legati a un mancato rispetto della normativa sulla privacy.
“L’utilizzo di strumenti digitali per comunicare con i propri pazienti è un segnale positivo di come i medici stiano acquisendo consapevolezza sull’importanza del digitale, che consente di rendere più veloce ed efficace lo scambio di informazioni. Si parla tuttavia di strumenti basilari, che spesso non necessitano di formazione specifica né di un cambiamento profondo a livello culturale. È importante, invece, che i medici siano sempre più attenti alla propria formazione rispetto alle competenze digitali necessarie allo sviluppo di nuovi progetti di innovazione digitale utili a migliorare i processi e i servizi sanitari”, conclude il prof. Locatelli.
Infine, dati confermano come, in Italia, il 39,9 per cento dei residenti è affetto da almeno una malattia cronica (24.133.105 persone), mentre quelle con almeno due malattie croniche rappresentano il 20,9 per cento del totale (ISTAT 2018) e di questi, il 70% risultano non aderenti alla terapia, che corrisponde ad un esborso da parte della Sanità italiana pari a circa 11 miliardi l’anno (dati AIFA).
Risulta, quindi, evidente come gli attuali approcci terapeutici standardizzati abbiano mostrato delle limitazioni e la personalizzazione della cura può rappresentare una strada vincente per rompere questa inerzia clinico-terapeutica e gli strumenti digitali forniscono le dovute opportunità per renderla possibile.
La prof.ssa Valeria Tozzi, Associate Professor of Practice SDA Bocconi e Direttore del Master MiMS, Università Bocconi di Milano, ricorda, inoltre, come la gestione delle malattie croniche assorba tra il 70 e l’80 per cento delle risorse sanitarie. “Volendo sintetizzare – ha spiegato, quindi, la Prof.ssa Tozzi – esistono alcune tendenze che si stanno affermando nella gestione delle patologie croniche nel nostro Paese, che sicuramente trarrebbero vantaggio dalla digitalizzazione. Sono gli approcci di Population Health Management, quale evoluzione dei PDTA (percorsi diagnostico terapeutici e assistenziali): integrare le informazioni di natura amministrativa provenienti dai big data delle Regioni e delle aziende sanitarie con quelle di natura sanitaria relative al paziente rappresentano una sfida importante; le cronicità ad alta complessità per le quali sono centrali il ruolo delle competenze specialistiche e delle risorse tecnologiche complesse oltre che il bisogno di una staffetta importante tra ospedale e territorio. Anche in questo ambito ha un ruolo fondamentale la tecnologia dedicata allo scambio di informazioni quale ad esempio la telemedicina.”
Suona a questo punto quanto mai appropriato l’auspicio di Fondazione Roche, affinché Istituzioni, professionisti sanitari, associazioni dei pazienti, società civile, industria collaborino per estendere e rafforzare la digitalizzazione in sanità. Tutto il mondo sta andando in questa direzione, la digitalizzazione è ormai di fatto in tutti gli ambiti un elemento chiave di unione. Assume un ruolo ancora più rilevante nella vita di una persona con malattia cronica, costretta a convivere quotidianamente con la sua gestione. Tutti gli strumenti che facilitino e semplifichino questa quotidianità, la relazione con il medico e favoriscano maggiore aderenza alle cure non possono che dar vita a un sistema virtuoso, in favore della qualità di vita, della salute e soprattutto della dignità della persona. Senza dimenticare che maggiore aderenza alle cure equivale a minori costi per il Sistema Sanitario e, quindi, ottimizzazione nella disponibilità delle risorse.
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La Fondazione Roche persegue lo scopo di favorire la ricerca scientifica indipendente, l’assistenza sanitaria, l’attività delle associazioni che sostengono i pazienti ed il dibattito pubblico su tematiche istituzionali ed organizzative concernenti il sistema sanitario nazionale ed europeo. Tema ispiratore dell’azione della Fondazione Roche è l’attenzione alla persona-paziente e ai suoi bisogni di salute, con il triplice obiettivo di contribuire alla ricerca indipendente, seria e scientificamente solida; intraprendere un dialogo continuo con le istituzioni per trovare strade capaci di abbattere le limitazioni dei diritti del cittadino; sostenere in maniera responsabile le associazioni pazienti e le realtà non-profit del territorio.
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